Da
un'intervista a Amedeo Tortori nella sua bottega del molinello ad Anghiari
A Citerna, dove sono nato in una casa di fronte al convento delle suore
francescane, da bambino ero conosciuto come il piccolo Archimede per il
fatto che ogni giorno inventavo qualcosa.
Mi ricordo che già a 7 anni mi ero costruito una specie di manovia
utilizzando un vecchio fustino di Dash. Me ne servivo per riempire con
della rena una serie di barattolini che poi colandoci di sopra la cera
e mettendoci uno stoppino si sciampagnavano per tutto il paese durante
la festa del Cristo morto. Col tempo mi specializzai nel recupero di vecchie
biciclette, motociclette e persino automobili. Dal meccanico ci andavo
solo per farmi prestare le chiavi. Ma poi mi comprai anche quelle e gli
amici venivano da me per farsi riparare qualsiasi cosa. Insomma mi sono
sempre piaciute le cose vecchie soprattutto per il gusto che mi dava vederle
trasformarsi a poco a poco sotto le mie mani.
Quando fu il momento di scegliere una strada che mi desse da vivere capii
subito che non avevo da andare molto lontano. Infatti era ad Anghiari
che si trovava l'unica scuola che mi si poteva adattare. Mi iscrissi all'Istituto
d'Arte per il Restauro del mobile e fu là che conobbi Rossana la
ragazza di Anghiari che divenne prima la mia fidanzata e poi mia moglie.
Era il 1979 - io ero già all'ultimo anno mentre Rossana frequentava
il terzo - quando chiedemmo a un nostro professore se ci poteva aiutare
a trovare del lavoro da sbrigare nei pomeriggi liberi. Lui ci indirizzò
a una ditta di Arezzo che costruiva mobili per i mercati dell'estremo
oriente. Questa ditta ci avrebbe dato volentieri del lavoro ma bisognava
prima mettersi in regola con tanto di fatture e di bolle d'accompagnamento.
Era quindi necessario scriversi all'Artigianato. A questo scopo ci mandarono
dal loro ragioniere che però per metterci in regola ci chiese una
cifra al di sopra delle nostre possibilità. Fortunatamente un mio
cugino che faceva il lucidatore ci consigliò un altro ragioniere
e con questo riuscimmo a iscriverci all'Artigianato veramente con quattro
soldi. Alla ditta che si mise in società si diede nome R.T.A. Rossana
Tortori Amedeo praticamente il suo e il mio nome.
Si iniziò quindi a costruire mobili per la Cina e il Giappone.
Il lavoro era tanto ma il guadagno davvero molto poco. Praticamente più
si lavorava e meno si guadagnava. Questo era per noi inaccettabile e quindi
ci siamo decisi ad andare dalla ditta di Arezzo a reclamare un aumento.
Ma invece che l'aumento ci regalarono tante di quelle promesse e chiacchiere
che senza alcuna esitazione troncammo il rapporto lì per lì.
Quello me lo ricordo come un momento difficile. Ma non mi persi d'animo
e pur di lavorare mi davo aiuto con tutto quello che sapevo fare. Così
nel giornalino degli Artigiani la nostra ditta una volta veniva segnalata
come R.T.A. Cicli e Motocicli e una volta R.T.A. Restauro Mobili Antichi.
Fu in quel tempo che presentatasi l'occasione mi comprai e rimisi perfettamente
a posto una Dyane 6 usata. Mi ricordo che una volta per riparare un guasto
al filo dell'accelleratore dovetti addirittura sbendarmi il dito fasciato
e con quel po' di garza che ne ricavai riuscii a farla ripartire. Attraverso
il finestrino aperto avevo fatto passare la garza che tiravo quando c'era
da dare gas.
Col tempo arrivarono le prime richieste di lavori di restauro. Piccoli
lavoretti per mobili di famiglia che avevano bisogno di essere accomodati.
Poi poco per volta anche gli antiquari iniziarono ad affidarci dei lavori.
Con loro stipulammo dei buoni contratti. Quelli erano anni in cui con
l'antiquariato si potevano ancora fare buoni affari. Aumentando il lavoro
era anche necessario avere più spazio. I 2 mq di cui disponevamo
non erano più sufficienti e fu necessario per gradi arrivare a
disporre di uno spazio di 80 mq. Per la verità anche le nostre
competenze in materia di restauro avevano bisogno di crescere. Ciò
che avevamo imparato a scuola non bastava a risolvere i problemi più
difficili di restauro. Ma la passione e soprattutto l'abitudine acquisita
fin da piccolo a inventarsi soluzioni sempre nuove, mi aiutarono a superare
tutte le difficoltà.
Quando il lavoro ce lo permetteva si andava in giro e compravamo di tutto.
Ritornavamo a casa con il furgone pieno di roba avendo ormai speso tutto
quello che ci s'aveva in tasca ma contenti come se avessimo scovato autentici
tesori. Alcune cose le tenevamo per noi altre le vendevamo dopo averle
rimesse a posto. Trattare l'oggettistica era poi una maniera di recuperare
le spese. Trovammo una società che vendeva roba vecchia, articoli
che non andavano più di moda come collane di legno di provenienza
africana. Una sera a Poppi si aveva fatto un cuore foderato di velluto
e appoggiato ad un cavalletto da pittore ci s'aveva attaccato tutti questi
oggettini. Si avvicina un signore dicendo:
- Bella roba, bella roba! Voglio fare un regalo alla mi' moglie. Quanto
cosa sta' collana?
- Diecimila lire
- Così poco? Allora non gliene compro!
E non l'ha comprata. E' andato via
la mattina dopo è tornata
la signora.
- Ce l'avete mica quella collana? Però se viene mio marito non
gli dica che me l'ha venduta.
Fino a qualche anno fa d'estate nel mese di agosto andavamo in giro facendo
le fiere dei paesi qui vicino. Si stava 15 giorni fuori dormendo nel camper
e utilizzando il furgone per trasportare tutta la roba. Di anno in anno
ritrovandoci in quel periodo sempre con le stesse persone tutti assieme
formavamo come una tribù di nomadi. Una volta mi ricordo avevamo
rimesso a posto un tavolino inglese di buona fattura ma con un piano piuttosto
brutto. Per migliorarlo sul piano abbiamo fatto un filettino e un uccellino
con il suo quadrettino tutto intarsiato che nell'insieme faceva la sua
bella figura. Come eravamo soliti fare anche quella volta scattammo le
fotografie prima, durante e dopo per documentare le varie fasi del lavoro
di restauro. Un giorno ad una fiera vennero due signori di Milano e uno
dava spiegazioni all'altro dicendo:
- Vedi, com'è bello questo tavolino! Peccato, che su un piano così
elegante abbiano messo una gamba così brutta.
E continuava di questo passo a istruire da competente l'altro. Ed io tutto
da una parte giustamente non intervenivo. Poi questo signore di Milano
mi chiama dicendo:
- Come mai avete messo un piano così bello su un piede così
brutto?
- Guardi signore che Lei senza volerlo mi fa un complimento, perché
l'unica cosa falsa di quel tavolo è proprio il piano.
- Ma come!? Lei lo vuole dire a me che sono un intenditore?
- No, non è che lo voglio dire, glielo faccio vedere!
E gli andai vicino con tutte le fotografie. E lui allora se ne andò
incacchiato nero e senza salutarmi.
Quest'altra mi successe ad Anghiari durante la Mostra dell'Artigianato.
Avevamo messo in mostra un tavolo ricostruito ma con del materiale antico
e che aveva anche un bel piano. E' entrato un signore e dice:
- Oh che bel tavolo! Bella patina, bel tavolo! Si vede che è tutto
originale del '600!
E poi è uscito. Dietro di lui è entrata un'altra persona
che conoscevo bene e mi dice:
- Lo sai chi era quel signore?
Premetto che poco tempo prima avevamo acquistato una certa enciclopedia
del restauro.
- No, chi era?
- E' quello che ha scritto tutte le schede di quell'enciclopedia.
- Allora sarà meglio che gliela renda e mi faccia ridare i soldi
ché quello di restauro ci capisce men di me.
Un'altra volta fra tante cose che avevo messo in esposizione c'era anche
una vecchia brocca di coccio di manifattura pugliese. Viene una signora
straniera e mi fa:
- Quanto costa?
- Ventimila lire!
La guarda, la riguarda e poi rivolgendosi a me:
- Ma la tiene l'acqua la brocca?
- Non lo so! risposi io
- Allora me la vada a provare
- Ma lei scherza!
- No, perché sa
di voi italiani non c'è da fidarsi!
- Vede signora, siccome io sono italiano e di me mi fido, vada lei con
la brocca a provarla alla fonte di piazza, che se poi l'acqua le rimane
nella brocca me la paga se poi invece non la tiene non me la compra e
io sono contento lo stesso.
Poi la signora l'ha comprata senza provarla.
A Poppi ad una fiera avevamo portato uno scrittoio molto bello. Arriva
uno di Arezzo e fa:
- Bello questo scrittoio! C'avete solo questo e basta?
Noi ci si guardava in faccia un po' perplessi
- No perché quando c'avete tutto l'ufficio mi chiamate e io vengo
a comprarlo.
Mi ha dato sempre molta soddisfazione andare in giro per l'Italia a portare
mobili belli a gente che ci capisce di antiquariato. Capitava anche di
sentirli fare apprezzamenti molto lusinghieri per i restauratori anghiaresi.
Qualche anno fa un signore ci propose di aprire in società con
lui un negozio a Milano. Per un po' fummo tentati di buttarci in questa
avventura ma poi avendo avuto l'occasione di sperimentare anche per un
solo giorno la vita di quella grande città mi sono reso conto che
non c'è un altro posto come Anghiari dove uno come me potrebbe
vivere e lavorare.
Una volta partii per Milano chiamato da un cliente che aveva bisogno di
un intervento di restauro su un suo mobile antico. L'amico che mi aveva
trovato questo lavoro mi avvertì dicendomi:
- Se tu ci stai un'ora gli prendi 500 mila lire. Ma pure che ci stai 5
minuti gli prendi lo stesso 500 mila lire.
Si arrivò a Milano all'una, si andò in casa di questo signore,
si fece il restauro e all'una e un quarto ero pronto per andar via. In
effetti mi vergognavo a chiedergli 500 mila lire per un quarto d'ora di
lavoro. E quello che insisteva:
- Quanto le devo? Quanto le devo?
- Senta mi dia 300 mila lire.
E la sua risposta immediata fu:
- Neanche caro!
Negli anni '90 si aprì una un negozio di mobili antichi alla Croce
di Anghiari. Un negozio piuttosto grande sui 70 mq. I primi anni veniva
tanta gente e soprattutto il sabato e la domenica anche di ritorno dalla
fiera di Arezzo. Si fermavano a guardare e talvolta anche a comprare.
Gli altri giorni meno e infatti tenevo aperta solo la vetrina e restavo
a lavorare nel mio laboratorio. Avevamo anche clienti che venendo da lontano
telefonavano prima.
Ma poi iniziarono i lavori di rifacimento della strada e per un anno si
dovette tener chiuso. L'affitto era piuttosto alto, capii che erano soldi
buttati via e ci decidemmo a chiuderlo.
Poco dopo capitatami l'occasione ci riprovai con un altro negozio questa
volta un po' più piccolo nel borgo medievale. Ma essendo il borgo
chiuso al traffico delle macchine è più difficile attirare
la clientela.
Sono fra i più assidui espositori del Mercatino di Memorandia,
credo infatti di non averne ancora perso una edizione. Porto un po' di
tutto ma soprattutto oggettistica antica: terracotta, porcellana, attrezzi
da lavoro e anche qualche mobile. All'infuori della roba militare ho di
tutto.
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